Vetro, zinco, rame, terracotta
d.140; h. 210
3/4 XIX secolo
Questa pila a due liquidi, del tipo ideato nel 1836 dal fisico inglese John Frederic Daniell (1790-1845) per risolvere l’inconveniente della polarizzazione degli elettrodi che si manifesta nelle pile ad un solo liquido, è costituita da una vaso di vetro contenente un cilindro di zinco, un setto poroso ed una lamina in rame. Per funzionare, nella pila dovevano essere immessi all’interno del cilindro poroso, a contatto con il rame, una soluzione concentrata di solfato di rame; all’esterno del cilindro poroso, a contatto dello zinco, una soluzione di acido solforico. La funzione del setto poroso è quella di impedire il mescolamento delle soluzioni, pur consentendo il passaggio degli ioni da una soluzione all’altra; in questo modo, oltre che impedire la polarizzazione degli elettrodi, si ottiene una corrente costante.
Vetro, zinco, ottone, carbone, legno di noce
Scatola 470 x 200, h. 100; vasi d. 75, h. 120
2/4 XIX secolo
Una cassetta in legno di noce contiene una batteria di otto pile a due liquidi tipo Bunsen (in origine erano dieci), ciascuna delle quali è costituita da un vaso in vetro contenente, nell’ordine: un cilindro in carbone di storta, che termina con un anello in ottone, al quale è fissata una lingua di rame che funge da elettrodo positivo; un cilindro in materiale poroso; un cilindro di zinco, sul bordo del quale è saldata una linguetta dello stesso metallo, che funge da elettrodo negativo.
Perché la pila funzioni, è necessario versare nell’intercapedine tra il vetro e il setto poroso, che contiene il carbone – in questo caso la più esterna –, una soluzione di acido nitrico e, all’interno del cilindro poroso, dove si trova lo zinco, una soluzione di acido solforico. Ponendo in comunicazione mediante un conduttore lo zinco e il carbone, la corrente scorre dal carbone (polo positivo della pila) allo zinco (polo negativo).
Questo tipo di pila fu inventata nel 1841 dal fisico tedesco Robert Bunsen (1811 – 1899); rispetto alle pile ad un solo liquido, il cui funzionamento determina la variazione di concentrazione nella soluzione elettrolitica, nonché la polarizzazione della stessa pila, cause queste della rapida diminuzione dell’intensità di corrente erogata, le pile a due liquidi risolvono in parte il problema, ma la pila di Bunsen produce esalazioni tossiche di anidride nitroso-nitrica NO2.
L’apparato risulta acquistato da Dell’Acqua – Milano.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1888, n. 380.
Vetro, zinco, porcellana, carbone, metallo
h. 210
3/4 XIX secolo
Tre pile di Bunsen in vaso cilindrico di vetro, con lo zinco all’esterno e il carbone all’interno.
Vetro, rame, carbone, ottone, piombo
230 x 100; h. 270
4/4 XIX secolo
Un vaso di vetro di forma ellittica e chiuso da un coperchio in legno verniciato, contiene undici lastre di piombo affacciate, che sono fissate al coperchio; nella parte superiore di questo, si trovano i morsetti di collegamento.
Il primo modello di accumulatore, ideato da Gaston Planté nel 1860 e detto all’epoca “generatore secondario”, utilizzava due elettrodi di piombo immersi in una soluzione di acido solforico. Collegando gli elettrodi ai poli di una pila, l’elettrodo positivo si copre di ossido di piombo; l’energia chimica accumulata in tal modo viene poi restituita sotto forma di corrente elettrica secondaria, quando, staccato il collegamento con la pila, si collegano fra loro gli elettrodi.
L’apparato è stato acquistato da Tecnomasio – Milano nel 1886.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1871, n.489.
Piombo; ossidi di piombo
105 x 105
4/4 XIX secolo
Quattro griglie che esemplificano la modificazione, operata nel 1880 da Camille Faure (1840-1898), degli elettrodi dell’accumulatore Planté, volta a migliorarne l’efficienza; le lastre compatte dell’accumulatore Planté sono sostituite con delle griglie di una lega di piombo, ricoperte poi con paste di ossidi di piombo, fra i quali il minio.
Le griglie sono contenute in una scatola di legno.
Legno, metallo
270 x 160; h. 230
Martignoni Mela & C.- Genova
1/4 XX secolo
L’apparecchio è una batteria di quattro accumulatori contenuti in una cassetta di legno, chiusa da un coperchio e dotata di manico, per rendere portatile lo strumento. Sulla parete anteriore sono inserite cinque chiavi che possono essere spostate in modo da fornire intensità diverse di corrente elettrica.
All’interno del coperchio è applicata una scheda con le indicazioni per ottenere potenziali e intensità di corrente diversi, spostando opportunamente le chiavi.
Lo strumento è firmato Martignoni Mela & C ed è stato acquistato nel 1907.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1914, n. 559
Vetro, platino, ottone
d. 150; h. 190
Tecnomasio – Milano
3/4 XIX secolo
L’apparecchio è costituito da un vaso cilindrico di vetro, sul cui fondo sono alloggiati due elettrodi in platino, al di sopra dei quali vi sono due tubi di vetro, chiusi ad un’estremità e sostenuti da un anello metallico che li mantiene in posizione verticale. Il voltametro era usato per l’elettrolisi dell’acqua, ovvero per la sua decomposizione in idrogeno e ossigeno in corrispondenza degli elettrodi collegati ai poli di una pila.
Vetro, metallo, legno
190 x 190; h. 290
4/4 XIX secolo
Il voltametro di Hoffmann è formato da due tubi graduati in vetro, con scala in centimetri cubi fino a 60, forniti di rubinetto nella parte superiore e uniti fra loro nella parte inferiore. Essi sono collegati ad un tubo centrale che, nella parte alta, termina con un’ampolla aperta. Nel voltametro ci sono due elettrodi in carbone, rotti sul fondo. Il voltametro appoggia su un supporto in legno fissato ad un’asta metallica dotata di treppiede. Questo tipo di voltametro, utilizzato per realizzare diverse esperienze fra le quali l’elettrolisi dell’acqua, cioè la decomposizione dell’acqua nei suoi componenti idrogeno e ossigeno, fu ideato dal chimico tedesco August Wilhelm Hoffmann (1818-1892).
Data di acquisto 1890.
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