Legno, vetro, rame, zinco, feltro
D..dischi 38; portante: d. 150; h. 650
1/4 XIX secolo
La pila a colonna, inventata da Alessandro Volta (1745–1827) alla fine del 1799 e presentata alla Académie des Sciences a Parigi nel 1801 alla presenza di Napoleone, segnò una svolta nello studio dei fenomeni elettrici. L’elettricità, che fino ad allora era prodotta per mezzo delle macchine elettrostatiche a bassa intensità ma a potenziali elevatissimi e che perciò dava luogo a fenomeni essenzialmente elettrostatici, con la pila poteva essere prodotta con intensità elevata, in corrispondenza a bassi potenziali. Da qui, perciò, ebbe origine l’elettrodinamica, cioè lo studio dei fenomeni legati alla corrente elettrica, con le sue innumerevoli applicazioni.
Una base circolare montata su tre piedini torniti sorregge tre canne di vetro fra le quali sono posti nello stesso ordine le coppie metalliche (in origine 50) costituite da dischi di rame e zinco in contatto, intervallate da dischi di feltro che dovevano essere imbevuti di acqua acidulata con acido solforico. Al primo disco di rame e all’ultimo disco di zinco sono collegati dei conduttori, che costituiscono i poli della pila, fra i quali si genera una differenza di potenziale, pari alla somma delle differenze di potenziale relative a ciascuna coppia rame-zinco.
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A causa della diversa affinità elettronica dei due metalli, in corrispondenza della superficie di contatto, lo zinco tende a perdere elettroni e il rame ad acquistarne, con la conseguenza che lo zinco si carica positivamente e il rame negativamente. Tale differenza di potenziale è mantenuta costante dalla presenza della soluzione elettrolitica; infatti nel conduttore che collega i poli della pila si ha un moto di elettroni dal polo negativo al polo positivo, mentre nella soluzione di acido solforico gli ioni SO4 si muovono verso lo zinco e gli ioni H+ verso il rame.
Rame, zinco, legno, ottone, materiale poroso
d. 110; h. 280
4/4 XIX secolo
Coppia di pile a due liquidi, del tipo Daniell, costituite da un vaso cilindrico di rame verniciato all’esterno, montato su una base in legno e con imboccatura ad imbuto, al quale è fissato un morsetto; nel vaso è inserito un cilindro di materiale poroso, con all’interno una verga di zinco, collegata al secondo morsetto. Il setto poroso mantiene separati i due liquidi: acido solforico al suo interno e solfato di rame all’esterno. Nella parte svasata del vaso possono essere collocati dei cristalli di solfato di rame, in modo da mantenere costante la concentrazione della soluzione elettrolitica.
Vetro, rame, zinco
d. 100; h. 330
4/4 XIX secolo
La pila italiana costituisce una modificazione della pila di Daniell ed era prevalentemente usata nei telegrafi.
Essa è formata da un vaso di vetro che presenta una strozzatura a metà circa della sua altezza, Nella parte bassa pesca una serpentina di rame, che termina in alto con un’asta ed un morsetto; un cilindro di zinco, al quale è fissato il secondo elettrodo, è appoggiato alla base del vaso superiore. Si riempie la parte inferiore del vaso, fino alla strozzatura, con una soluzione di solfato di rame; si versa poi con cautela una soluzione di solfato di zinco, che, data la scarsa miscibilità dei due liquidi, resta confinata nella parte superiore del vaso, al di sopra della strozzatura. Ogni elettrodo risulta quindi immerso nella soluzione del suo sale.
Data di acquisto 1891.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1888, n.378.
Porcellana, rame, zinco, carbone, terracotta, ottone
d. 120; h. 140
C. Dell’Acqua – Milano
2/4 XIX secolo
Due pile di tipo Bunsen formate da un vaso cilindrico di porcellana, che racchiude un cilindro di zinco a cui è fissato un elettrodo, un setto poroso e un cilindro pieno di carbone di storta, terminanti con un anello metallico sostenente l’altro elettrodo.
Nel Catalogo metodico sono indicate come costruite secondo l’uso moderno, cioè col carbone nell’interno e lo zinco all’esterno.
Sul vaso esterno è riportata la firma del fornitore, dal quale sono state acquistate nel 1853.
Riferimenti: Brenni P.(2000), Gli strumenti di fisica dell’Istituto Tecnico Toscano, Elettricità e Magnetismo, Firenze, Le Lettere, p.94. LPSAS, XLVIII, Programmi 1853.
Vetro, legno, zinco, cartone, terracotta, ottone
d. 120; h. 160
1/4 XX secolo
Il vaso in vetro di queste pile contiene, nell’ordine: quattro sbarre di carbone disposte a cerchio, un cilindro in materiale poroso ed una lamina in zinco. Le sbarre di carbone sono fissate al coperchio in legno e collegate tra loro da asticciole metalliche, poste sulla faccia superiore del coperchio; anche la sbarra in zinco è fissata al coperchio, dal quale emerge il serrafili collegato con lo zinco.
Data di acquisto: 1909.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1914, n.531.
Porcellana, ottone, zinco, legno di noce
145 x 130; h. 110
2/4 XIX secolo
In un telaio quadrato di noce, i cui spigoli laterali sono quattro colonnine tornite, trovano posto due vasi rettangolari in porcellana.
In ciascuno dei vasi vi è una lamina di zinco, sulla quale è fissato un serrafili, sagomata in modo da racchiudere un vaso più piccolo, rettangolare, di materiale poroso. Manca una lamina in platino che doveva essere posta all’interno del vaso poroso e che fungeva da elettrodo positivo. Il vaso poroso conteneva acido nitrico, mentre il vaso più esterno acido solforico.
Questo tipo di pila, proposta dal fisico inglese William Grove (1811-1886), fu poco usato dato il costo elevato della lamina di platino. Il suo funzionamento è comunque analogo a quello della pila Bunsen.
La coppia di pile risulta fornita da Dell’Acqua – Milano.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1871, n.295.
Vetro, cartone, zinco
90 x 90; h. 230
4/4 XIX secolo
Questo tipo di pila, proposto dal francese Georges Leclanché (1839-1882) è formato da un vaso di vetro in cui è inserita in una particolare ansa una lamina di zinco, terminante con un uncino che funge da elettrodo. Nel vaso è inserito un cilindro poroso riempito con un miscuglio di carbone di coke e di biossido di manganese, da cui emerge una barra di carbone, sulla quale è fissato un serrafili. Nel vaso era contenuta, fino a circa metà altezza, una soluzione di cloruro ammonico.
L’apparato all’origine comprendeva altre quattro pile analoghe e la cassetta per contenerle; esso è stato acquistato da Tecnomasio – Milano nel 1885.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1888, n.384.
Vetro, ottone, carbone, zinco
h. 300
3/4 XIX secolo
Le tre pile di tipo Grenet sono costituite da un vaso a boccia di vetro, della capacità di un litro, chiuso da un tappo in ottone. Due sbarre di carbone di storta, in contatto fra loro al disotto del coperchio, racchiudono una lastra di zinco che può essere alzata o abbassata mediante un perno posto al centro del coperchio. Su questo sono montati i serrafili, uno in corrispondenza dello zinco, l’altro del carbone. Nel vaso doveva essere versata una soluzione di acido solforico H2SO4 e bicromato potassico K2Cr2O7, nella proporzione indicata da Johann Poggendorf (1796-1877): 100 parti di acqua, 22 di acido e 17 di sale. La polarizzazione conseguente al funzionamento della pila ad un solo liquido può essere rallentata regolando la lunghezza dell’elettrodo di zinco immerso nella soluzione a circa un terzo o un quarto di quella del carbone.
Le pile sono state acquistate da Tecnomasio – Milano nel 1888.
Riferimenti: Brenni P.(2000), Gli strumenti di fisica dell’Istituto Tecnico Toscano, Elettricità e Magnetismo, Firenze, Le Lettere, p.93. LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1888, n.383.
Legno, bismuto, antimonio, ceralacca
d. 55; h. 50
3/4 XIX secolo
La termopila è costituita da sedici elementi formati dalle coppie metalliche di bismuto e antimonio. Le coppie sono annegate in un mastice rossastro e racchiuse in una scatola cilindrica in lego con coperchio. Sui lati della scatola, da parte opposta, sono stati praticati due fori, nei quali erano infilati due morsetti (ora mancanti) in contatto con gli elementi all’interno della scatola.
La termopila fu ideata intorno al 1830 da Leopoldo Nobili (1784–1835), professore di Fisica presso il Museo Reale (La Specola) di Firenze. Essa sfrutta l’effetto termoelettrico scoperto nel 1821 da Thomas Seebeck (1770–1831), che consiste nella produzione di una corrente elettrica in una giunzione fra due metalli, come ferro e platino, o antimonio e bismuto, detta “coppia termoelettrica”, quando tale giunzione venga scaldata da parte di una sorgente; la corrente generata è proporzionale alla temperatura.
Unendo fra loro più coppie, si ha una pila termoelettrica, che Nobili sfruttò in due modi: da un lato, insieme a Macedonio Melloni (1798-1854), per indagare l’energia raggiante, essendo in pratica la termopila molto più sensibile di un termometro differenziale; dall’altro, come sorgente di una corrente elettrica costante di riferimento per il galvanometro differenziale (111/E e 112/ E).
Questa pila è stata probabilmente donata al Liceo nel 1846 per disposizione testamentaria da Francesco Maccarani (1776–1846), docente della scuola dal 1801 al 1845.
Metalli
d. 130; h. 130
Leybold – Köln
4/4 XIX secolo
Questa termopila fu inventata nel 1870 dall’austriaco Franz Noë ed è formata da venti elementi, costituiti da cilindri di una lega di zinco e antimonio, saldati a fili di costantana. I cilindri sono disposti in cerchio e ciascun elemento è connesso con un cilindro in ottone. All'interno sono fissate delle lastre in rame che, riscaldandosi alla fiamma del bunsen, trasmettono il calore alle giunzioni termoelettriche che, all’esterno, sono raffreddate dai cilindri d’ottone. La corrente generata dalla pila è disponibile a due morsetti, collegati ciascuno ad un metallo delle coppie.
Data di acquisto 1885.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1888, n.441.
Vetro, ottone, rame, zinco, legno di noce
d. 220; h. 340
Jest Torino
3/4 XIX secolo
L’apparecchio è una pila di tipo Daniell, costituita da un doppio vaso di cristallo, quello più esterno appoggiato ad una base in legno lucido, sostenuta da tre piedini in legno tornito, quello più interno sprovvisto di fondo. In ciascuno dei due vasi pesca un elettrodo, l’uno di rame a forma di piastra, l’altro costituito da un blocco di zinco; entrambi gli elettrodi sono sostenuti da un’asta in ottone fissata alla base. All’apparecchio, che serve per la ricopertura di un oggetto con una pellicola di metallo, è allegata una moneta in rame, coniata a Bergamo nel 1841, in onore del musicista Giovanni Simone Mayr (1763 – 1845), maestro della Cappella di Santa Maria Maggiore, in Bergamo, dal 1802.
Sulla base in legno è incisa la firma del rivenditore.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Catalogo metodico, p.123, n.2.
Legno, metallo, ottone
300 x 150
3/4 XIX secolo
Sulla base rettangolare in legno può essere appoggiato un vaso in vetro per esperienze di elettrochimica.
L’apparato è stato acquistato da Allemano di Torino nel 1865.
Vetro, platino, ottone, legno
d. 110; h. 280
3/4 XIX secolo
Un cilindro in vetro (rotto) è chiuso da un tappo in legno, nel quale è fissata un’ampolla contenente gli elettrodi di platino. La parte alta dell’ampolla comunica con un tubicino ricurvo con tre piccole ampolle, per la raccolta della miscela gassosa di idrogeno e ossigeno. Nella parte superiore del tappo si trovano due serrafili collegati con gli elettrodi in platino.
Legno, vetro, ottone
Base: 150 x 50; h.110
1/4 XX secolo
Una semplice cella elettrochimica di forma rettangolare è montata sopra una base di legno lucidato; le pareti anteriore e posteriore della cella sono in vetro, in modo da consentire la proiezione dei fenomeni che in essa avvengono sopra uno schermo, così da renderli visibili a tutta la classe. Ai lati della cella sono montate due colonnine alle quali sono fissate le pinze che sorreggono le lamine metalliche (mancanti), immerse nella soluzione contenuta nella cella. Le colonne sono collegate a due serrafili che consentono di prelevare la corrente elettrica generata per effetto delle reazioni chimiche che avvengono nella cella.
Metalli, vetro
l. 300; h. 210
Gebr. Ruhstrat – Göttingen
1/4 XX secolo
L’apparato serve alla dimostrazione delle leggi sull’elettrolisi formulate da Michael Faraday (1791-1867) ed è costituito da due bilance ad ago, nelle quali il giogo termina con un ago metallico, che ruota su una scala a zero centrale. Dalla parte opposta del giogo vi è un gancio al quale è possibile sospendere l’elettrodo per determinarne la massa. Dei piccoli perni posti su un braccio della bilancia servivano a sostenere i cavalieri (mancanti) per equilibrare la bilancia; completano l’apparato le celle elettrolitiche costituite da due vasi in vetro di sezione rettangolare, al cui bordo sono fissati dei sostegni per gli elettrodi (lamine di argento, nichel e rame) muniti di serrafili e un tubo in vetro a forma di U rovesciato, che pesca in entrambi i vasi.
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L’esperienza consiste nell’immergere un elettrodo del metallo da analizzare in una soluzione del suo sale e di collegarlo al polo positivo di una pila; l’altro elettrodo è collegato al polo negativo. Chiudendo il circuito gli ioni del metallo di depositano sull’elettrodo negativo aumentandone la massa. Dalla misura della massa depositata e della quantità di carica che è circolata nel circuito, si ottiene la verifica della prima legge di Faraday, secondo la quale la massa depositata sull’elettrodo è proporzionale alla quantità di elettricità passata nel voltametro; la costante di proporzionalità è l’equivalente elettrochimico della sostanza. La verifica della seconda legge, secondo la quale, a parità di carica circolata nel circuito, le masse depositate sugli elettrodi sono proporzionali ai rispettivi equivalenti chimici, si ottiene allo stesso modo, ma utilizzando entrambi i vasi e immergendo in ciascun vaso, oltre all’elettrodo di ottone, l’elettrodi di un metallo diverso.
Data di acquisto 1914.
Vetro, rame, zinco
d. 65; h. 85
1/4 XIX secolo
I bicchieri lisci a tronco di cono (n. 20) contenenti solfato di rame costituiscono una pila, cosiddetta a corona di tazze, in cui i bicchieri sono uniti fra loro dagli elettrodi di rame e zinco accoppiati. A questi si aggiungono altri 6 bicchieri cilindrici di vetro lavorato.
Vetro, platino, ottone, legno
d. 35; l. 430
1/4 XX secolo
Pila a secco costituita da dischi di carta ricoperti da un lato di rame e dall’altra di zinco e montati su un sostegno munito di elettrodi.
Sede:
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