Sala
Metallo, cartone, legno, vetro, cristallo di rocca
h. 2000; l. 1000; globo: d. 800 circa
Giò Albrici
4/4 XVIII secolo
Si tratta di un grande modello copernicano del sistema solare, con i pianeti, la fascia dell’eclittica e il cielo stellato, racchiuso in una teca esagonale di legno e vetro, apribile su due lati. Il globo è montato su un piedistallo in legno di noce, così che l’apparato ha un’altezza complessiva di 1,65 metri; al piedistallo è fissato un asse centrale che sorregge il Sole e una prima cassa cilindrica, di legno intagliato e dorato, che nasconde il meccanismo a orologeria responsabile del moto dei pianeti. Tale meccanismo veniva azionato da una molla, che si poteva caricare mediante una chiave, posta anch’essa nella cassa. All’asse centrale è fissata inoltre una seconda cassa cilindrica, la cui posizione viene a coincidere con il piano mediano del globo, la quale nasconde le ruote dentate che muovono la Terra, la Luna, Mercurio e Venere e il cui piano superiore rappresenta l’orbita terrestre. Al centro vi è la palla dorata del Sole, intorno al quale possono ruotare i pianeti minori, Venere e Mercurio, costituiti da piccoli cristalli di rocca, tagliati a forma di diamante e sorretti da asticciole d’ottone. La Terra è un globo di circa due centimetri di diametro, sulla cui superficie sono rappresentati i continenti; la Luna, rappresentata da una perla di fiume, gira intorno alla Terra. Piccole sfere di metallo simboleggiano i pianeti maggiori Marte, Giove, Saturno; i satelliti di questi sono cristalli di rocca.
La parte della macchina che desta la maggiore ammirazione è tuttavia il globo celeste, costituito da un’intelaiatura di fili d’ottone che tracciano meridiani e paralleli, ai quali sono fissate delle sagome in cartone, dipinte nelle sfumature dell’azzurro, raffiguranti le costellazioni, le cui stelle principali sono dei piccoli cristalli, mentre le restanti sono dipinte in oro. La calotta superiore del globo è asportabile, così da rendere l’interno perfettamente visibile e accessibile.
Il costruttore del globo con planetario è Giovanni Albrici, divenuto macchinista presso il Collegio Mariano nel 1784 e qui rimasto fino al 1814. Dai documenti risulta che l’acquisto della macchina risale all’anno 1784, ma essa doveva essere già costruita, considerato che, fra i pianeti, manca Urano, scoperto nel 1781.
Sul piano orizzontale dell’orbita terrestre è scritta la spiegazione della macchina ad opera del costruttore stesso:
“MACHINA PLANETARIA
O SIA IL SOLARE SISTEMA DEL MONDO
Con la quale si fa vedere la posizione e distribuzione delli Corpi Celesti, e principalmente delli Pianeti con li loro Satelliti, ed in poche ore con questa si fa vedere le loro rivoluzioni intorno al Sole con li moti fra loro rispettivamente proporzionali calcolati con la Tavola contenente il risultato delle più recenti osservazioni per le rivoluzioni de’ Pianeti fatta dal Celebre Astronomo di Parigi il Sig. De La Lande.
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NOTA. Le grandezze, e le distanze de’ Pianeti in questa machina non sono fra loro a giusta proporzione; esigendo queste o una mole grandissima della machina o una piccolezza e minutezza tale che li corpi di alcuni pianeti sarebbero riusciti quasi invisibili. Perciò a soddisfazione delli spettatori se ne fa vedere separatamente tanto la loro grandezza proporzionale, quanto la distanza a norma della palla d’oro rappresentante il Sole”
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BREVE SPIEGAZIONE DELLA MACCHINA
La palla d’oro che sta nel centro rappresenta il Sole, la prima più vicina a questa Mercurio. La seconda Venere. La terza, che gira intorno a sé sopra il suo asse inclinato e d’intorno al Sole rappresenta la Terra, da noi abitata. Il primo moto rappresenta il giorno intiero d’ore 24, ed il secondo moto intorno al Sole, che si compie in 365 rivoluzioni, rappresenta l’anno.
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La mutazione delle stagioni si rappresenta dalla diversa inclinazione dell’asse. Quando la Terra vedrà il Sole in Ariete, sarà la Primavera, quando la vedrà in Cancro, l’Està. In Libra, l’Autunno et in Capricorno, l’Inverno. Alli due moti della Terra si devono riferire tutti i moti delli altri Pianeti, tanto inferiori che superiori.
La quarta palla che gira attorno alla Terra rappresenta la Luna, ed il circolo inclinato sul qual s’aggira dimostra la sua Orbita e li suoi Nodi.
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Il seguente cerchio rappresenta li aspetti della Luna, ed il Terzo cerchio più grande serve d’Eclittica per osservare esattamente dove sia il Sole, che giorno del mese sia, ed in qual grado e segno sia la Luna e li suoi nodi per mezzo delli indici.
La quinta palla fuori di questo piano rappresenta Marte. La sesta più grande d’argento Giove,con li 4 satelliti. La settima più lontana Saturno con il suo anello e 6 satelliti. La fascia attorno al Globo rappresenta l’Eclittica ed il Globo il Ciel stellato.
La Macchina planetaria è stata restaurata da Paolo Brenni e dai suoi collaboratori nei laboratori della Fondazione Scienza e Tecnica di Firenze, grazie all’iniziativa dell’Associazione ex alunni del Liceo Sarpi e al contributo di numerosi sponsor.
Riferimenti: Mencaroni Zoppetti M., Prè Giovanni Albricci e il sistema del mondo, La rivista di Bergamo, n.8, marzo 1997, p.58. Serra Perani L (2010), L’Universo settecentesco di Giovanni Albricci, «Atti dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo», LXXII, a.a. 2008-2009, Bergamo, Edizioni dell’Ateneo.
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Legno, metallo, cuoio
810 x 410; h. 990
3/4 XIX secolo
L’apparato, che negli inventari è denominato «Organo di Marloye» consiste di un tavolo rettangolare in legno di larice, nella cui parte inferiore è alloggiata una riserva d’aria in cuoio, collegata al mantice sottostante, azionato da un pedale; la base superiore del soffietto è in legno ed è collegata ad un’asta che, penetrando nel ripiano superiore del tavolo, permette di dilatare e svuotare il mantice. L’aria immagazzinata giunge attraverso un tubo nella parte superiore del tavolo, che funge da cassa di distribuzione, e, da qui, per mezzo di condotti apribili singolarmente, alle diverse canne sonore che si possono collocare negli appositi alloggiamenti posti sul ripiano del tavolo. Con questo apparato si eseguono esperienze relative alla produzione di onde stazionarie nei tubi sonori aperti o chiusi ad una estremità.
Le canne in dotazione dell'apparecchio sono sedici, di cui otto in legno aperte all'estremità sono montate sull'apparecchio; hanno lunghezze diverse e producono diverse note: MI3 – l. 454; FA3 – l. 425; SOL3 – l. 374; LA3 – l. 323; SI3 – l. 304; UT4 – l. 277 (2); FA4 – l. 203.
Data di acquisto: 1866.
Il mantice acustico è stato restaurato nei laboratori della Fondazione Scienza e Tecnica di Firenze grazie all’iniziativa dell’Associazione ex alunni del Liceo Sarpi e al contributo di numerosi sponsor.
Riferimenti. LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1871, n. 424
Legno, vetro
1300 x 800 h. 420
1/4 XIX secolo
Grande sgabello in legno dotato di sei piedi in vetro che ne consentono l’isolamento rispetto al suolo, per esperienze di elettrostatica.
Radica di noce, vetro, metallo
d. 270; h. 1000
Duroni Frères à Paris
1830
Su un supporto in legno da appendere alla parete sono montati, nella parte inferiore, il barometro e, nella parte superiore, il termometro. All’interno il tubo barometrico è a sifone e il serbatoio è dotato di un galleggiante, collegato con l’indice del barometro. Un disco di vetro sostenuto da una ghiera in ottone finemente lavorata ricopre il quadrante circolare del barometro, sul quale una graduazione sprovvista di scala indica, in francese, i diversi tempi atmosferici. L’indice è costituito da una asticciola metallica a forma di freccia che è mossa, per mezzo di una carrucola e di un contrappeso, dall’alzarsi o abbassarsi del livello del mercurio nel serbatoio del sifone.
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Per la sua forma particolare, questo barometro è detto “a banjo”; costruito per tutto l’Ottocento in un gran numero di esemplari, era considerato un barometro adatto alle abitazioni, non consentendo una misura effettiva della pressione atmosferica.
Il termometro a mercurio riporta la graduazione secondo la scala Réaumur, tipica della produzione francese.
Sul quadrante del barometro è riportata la firma del costruttore e la data di costruzione è incisa sulla scala del termometro.
Legno, vetro, ottone
h. 760; d. disco 550; conduttore l. 930
1/4 XIX secolo
La macchina elettrostatica è un generatore di cariche elettriche, che sfrutta lo strofinamento tra il vetro e il cuoio per produrre cariche; essa fu inventata intorno alla metà del ‘700 per assolvere alla necessità di avere a disposizione una certa quantità di elettricità, per poterne studiare gli effetti. La macchina appartenente a questa collezione è costituita da un disco in vetro del diametro di 55 cm, che ruota intorno ad un perno sostenuto da una colonna fissata ad una base in legno, ed è mosso da una manovella. Sulla base in legno sono montati anche i sostegni in vetro verniciato per due conduttori in ottone, posti lateralmente al disco, e collegati ciascuno con una coppia di cuscinetti in pelle, affacciati alle facce del disco, alle estremità del diametro orizzontale. Davanti al disco, un grosso conduttore cilindrico in ottone, montato su un piedistallo isolato, è collegato a due coppie di pettini posti agli estremi del diametro verticale.
Ponendo il disco di vetro in rotazione, questo si carica di carica positiva sfregando contro i cuscinetti di pelle che si caricano di segno opposto; i conduttori laterali accumulano quindi carica negativa, mentre il conduttore centrale, collegato ai pettini che raccolgono la carica del disco, accumula carica positiva.
Questo apparato è citato al n.1 della sezione Macchine per l’Elettricità dell’inventario del 1804 nel quale si specifica il valore di £ 200. Le sue caratteristiche di originalità rispetto ai modelli inglesi e francesi del tempo fanno pensare che si tratti di un esemplare modificato e costruito da un artigiano locale, probabilmente dallo stesso macchinista Giovanni Albrici.
Rame, metallo, legno
cilindro: d. 500; h. 700 – h. totale 1000
1/4 XIX secolo
Questo tipo di calorimetro, il primo in ordine storico, fu ideato nel 1780 dagli scienziati francesi Antoine Lavoisier (1743–1794) e Pierre Simon Laplace (1749–1827); esso è costituito da un doppio vaso in rame, sostenuto da un treppiede e dotato di un coperchio, nel quale si introduce ghiaccio triturato. Nel vaso più interno si trova un terzo vaso bucherellato che ospita il campione da studiare; sia il vaso esterno che l’interno sono dotati di un condotto, munito di rubinetto, per la fuoriuscita dell’acqua proveniente dalla fusione del ghiaccio. La quantità d’acqua che esce dal rubinetto posto alla base del vaso, che comunica con il recipiente più interno, è proporzionale al calore ceduto dal campione.
Il calorimetro è stato acquistato nel 1824 – 25 dal costruttore Pixii di Parigi, al prezzo di 90 Franchi.
Riferimenti: LPSAS, LXIII, 20 febbraio 1824.
Ottone, vetro
l. 1250; d. 90
1/2 XIX secolo
Grande cannocchiale acromatico terrestre e celeste montato su un supporto in ottone con treppiede dello stesso metallo; esso è dotato di un obiettivo di diametro 9 centimetri e di tre sistemi oculari intercambiabili. L’oculare può essere regolato telescopicamente per consentire la messa a fuoco dell’immagine; il supporto permette la regolazione della posizione del cannocchiale.
Il cannocchiale fu donato al Liceo nel 1846 per disposizione testamentaria da Francesco Maccarani (1776 – 1846), docente della scuola dal 1801 al 1845.
Dallo stesso documento risulta che fosse racchiuso in una custodia in legno di rovere (ora scomparsa) e che non si trattasse di uno strumento particolarmente sofisticato.
Riferimenti: LPSAS, LXIII, 7 maggio 1846.
Ghisa, legno, ottone, marmo, vetro
860 x 800; h. 1500
Dell’Acqua – Milano
3/4 XIX secolo
La macchina pneumatica è utilizzata per estrarre l’aria al di sotto di una campana di vetro, così da poter effettuare varie esperienze nel vuoto. Questo esemplare, tipico della produzione del costruttore milanese Carlo Dell’Acqua, è montato su un piano di noce, sorretto da tre piedi in ghisa.
La pompa è costituita da un unico cilindro in vetro, nel quale scorre lo stantuffo dotato di una valvola che si apre verso l’alto; il movimento alternativo dello stantuffo è ottenuto mediante un grande volano e un albero a gomito che funge da eccentrico. Il corpo di tromba comunica attraverso un tubo con la base della colonna in ottone, cava, che sorregge il piatto di marmo, forato al centro, su cui va appoggiata la campana. Sul fondo del cilindro una valvola permette l’uscita dell’aria dalla campana, ma non il suo ingresso. Lungo il tubo orizzontale un rubinetto chiude il condotto, quando nella campana sia stato raggiunto un sufficiente grado di rarefazione dell’aria. A fianco della colonna che regge il piatto di marmo, un manometro a mercurio, detto “provino”, comunicante con l’interno della campana, indica il grado di rarefazione raggiunto. Il provino è costituto da un tubo ricurvo, chiuso ad una estremità e aperto dall’altra, riempito di mercurio e fissato ad una scala verticale. Quando il manometro è a pressione atmosferica, questa spinge il mercurio che occupa completamente il ramo chiuso; a mano a mano che la pressione diminuisce, scende anche il livello del mercurio nel ramo chiuso, ma esso non si dispone mai allo stesso livello nei due rami, perché ciò corrisponderebbe ad un livello di rarefazione che per queste macchine non è raggiungibile. Il dislivello fra i due rami misurato in millimetri fornisce il valore della pressione nella campana.
La macchina pneumatica è stata acquistata da Dall’Acqua nel 1859 al prezzo di £ 500.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Catalogo metodico, n.25 p.46.
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Metallo, legno, vetro, stoffa
1000 x 240; h. 800
1/4 XX secolo
Proiettore composto da una cassetta metallica fissata ad una tavola di legno, che racchiude un arco voltaico. Sui lati della cassetta vi sono due sportelli per la regolazione dei carboni, e nella parte superiore vi è un camino di scarico del calore prodotto dalla lampada. Anteriormente alla scatola vi è alloggiato il condensatore, costituito da due lenti di 145 mm di diametro. Un otturatore a fenditura regolabile può essere montato davanti al condensatore. Alla base in legno è fissato un binario metallico su cui si fissano dei morsetti di ottone per sostenere gli accessori, fra i quali vi è un obiettivo da 150 mm.
L’apparecchio costituiva un proiettore per diapositive di schemi o di preparati, ma anche una sorgente luminosa per effettuare esperienze di ottica; in questo caso, accessori quali fenditure, schermi forati o sistemi di lenti, producevano fasci di luce opportuni.
Esso è riportato negli inventari del gabinetto di fisica con il nome “Apparecchio Pestalozza”. data di acquisto 1914.
Ottone, legno di noce
d.430; h. 1170
2/4 XIX secolo
Su due treppiedi in legno di noce sono montati due sostegni torniti sui quali si fissano due specchi sferici in ottone. Uno dei sostegni presenta, al di sotto dello specchio, un’asta orizzontale per il posizionamento degli accessori. Dai documenti risulta che, oltre ai cubi di Leslie (54T), completavano questo apparato:
Questo apparato serviva per lo studio della propagazione dell’energia raggiante.
Riferimenti: LPSAS, CCLXXXV, Catalogo metodico, p.67 n.1.
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Ponendo ad esempio una sorgente nel fuoco di uno degli specchi, i raggi provenienti dalla sorgente sono resi paralleli nella riflessione sulla superficie sferica dello specchio. Questi, giungendo all’altro specchio, vengono concentrati nel suo fuoco ed il fenomeno è rilevabile, per esempio, dalla combustione di un’esca posta in corrispondenza di questo punto.
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