Legno, ottone, vetro, carbone
d. 170; h. 360
3/4 XIX secolo
La lampada ad arco è costituita da due cilindri di carbone appuntiti e affacciati, l’uno fissato alla base, l’altro montato su un’asta a cremagliera e sostenuto da un braccio orizzontale infisso su un piedistallo isolato. Quando si collegano i carboni ai poli di una batteria, la forte resistenza dei carboni fa sì che le punte diventino incandescenti e, allontanate di qualche millimetro, sprigionino una luce molto intensa, che assume la forma di un arco. Durante l’emissione, il carbone collegato con il polo positivo si consuma formando un cratere. L’asta a cremagliera consente perciò di regolare con continuità la distanza tra i carboni.
Metallo, carbone, ottone
320 x 120; h. 220
1/4 XX secolo
Lampada ad arco in cui i carboni sono montati in modo da essere inclinati l'uno rispetto all'altro. Quando si collegano i carboni ai poli di una batteria, la forte resistenza dei carboni fa sì che le punte diventino incandescenti e, allontanate di qualche millimetro, sprigionino una luce molto intensa, che assume la forma di un arco. Durante l’emissione, il carbone collegato con il polo positivo si consuma formando un cratere. La lampada è dotata di un dispositivo elettromagnetico automatico per la regolazione della distanza tra i carboni.
Data di acquisto 1901.
Legno, metallo, vetro
d. 145; h. 250
4/4 XIX secolo
Lo strumento, che è montato su una base in legno tornita, è costituito da un’elettrocalamita e da un’ancora collegata al batacchio e dalla campana. L’ancora e il filo conduttore, avvolto sui rocchetti dell’elettrocalamita, sono collegati a due morsetti posti sulla base dello strumento. Quando nell’elettrocalamita circola corrente, il nucleo in ferro attira l’ancora che, contemporaneamente, batte sul campanello e apre il circuito; la corrente perciò cessa e con essa anche l’azione attrattiva della calamita. L’ancora ritorna nella posizione di riposo e chiude nuovamente il circuito, cosicché il processo ricomincia.
Dai documenti risulta che questo apparato è stato acquistato “da un mercante di Bergamo” nel 1885.
Legno, ottone, metallo, vetro
d. 160; h. 250
C. Dell’Acqua - Milano
2/4 XIX secolo
Il relais è stato acquistato come accessorio del telegrafo Morse (121E) allo scopo di rafforzare mediante il collegamento a una pila la debole corrente che attraverso la linea giunge al ricevitore telegrafico. È costituito da un’elettrocalamita formata da due rocchetti in legno, sui quali è avvolto a spirale un filo conduttore isolato con la seta, e che hanno all’interno della cavità un cilindro di ferro dolce. Sopra i rocchetti è posta l’ancora in ferro fissata ad una leva che, oscillando intorno ad un perno orizzontale, apre o chiude il contatto con una punta metallica sorretta da una piccola colonna posta davanti all’elettrocalamita. Per riportare l’ancora alla sua posizione di partenza, questo relais impiega una molla antagonista, fissata alla leva e all’estremità superiore della colonna cava in ottone. La leva, a riposo, appoggia su una vite in contatto con la colonna. L’elettrocalamita deve essere collegata in serie con la linea; le due colonne vanno invece inserite nel circuito contenente una pila e il ricevitore telegrafico.
Quando l’ancora è attirata dall’elettrocalamita, eccitata dalla corrente elettrica che giunge dalla linea, la leva chiude il circuito di collegamento fra la pila locale e il ricevitore, aumentando così l'intensità della corrente della linea.
Questo relais si ispira al modello ideato dal costruttore svizzero Mathaeus Hipp (1813-1895), ma se ne differenzia impiegando una sola molla, anziché due come nel modello originale.
Dai documenti, risulta essere stato acquistato nel 1856.
Legno, ottone, metallo
460 x 130; h. 200
C. Dell’Acqua – Milano n° 20
2/4 XIX secolo
L’apparato è un modello didattico di un telegrafo tipografico a una sola stazione e consiste di un ricevitore Morse e di un tasto trasmettitore; il ricevitore è montato su una base di legno lucido e consta di una elettrocalamita, formata da due rocchetti in legno, con all’interno un cilindro di ferro dolce, sui quali è avvolto un filo sottile isolato in seta e collegato a due morsetti posti sulla base dello strumento. Al di sopra delle espansioni dell’elettrocalamita vi è l’ancora, solidale con una leva in legno, il cui fulcro è una colonnina in legno tornito; la leva, in assenza di corrente proveniente dalla linea, è mantenuta sollevata rispetto all’elettrocalamita da una molla verticale. All’estremità opposta rispetto all’ancora vi è una punta che può toccare il nastro di carta. Quest’ultimo è avvolto sopra una ruota in legno, e scorre al di sopra della punta scrivente per mezzo di un sistema di ruote dentate in ottone mosse da contrappesi. Quando nell’elettrocalamita circola corrente proveniente dalla linea, il traferro si magnetizza e attira l’ancora che, abbassandosi, costringe la punta scrivente ad incidere un segno sulla carta, la cui lunghezza è proporzionale al tempo di chiusura del circuito.
Il trasmettitore è una leva che può oscillare intorno ad un asse orizzontale costituito da due perni; da un lato la leva termina con una punta metallica, dall’altra sorregge un tasto. La leva è montata su una base il legno sulla quale vi sono due morsetti. Uno dei morsetti è in contatto con il fulcro della leva per il collegamento con la linea e quindi con il ricevitore; l’altro morsetto fa capo ad un perno su cui può appoggiare il tasto della leva, per stabilire il contatto con una pila. Abbassando il tasto, si chiude il circuito della linea sopra la pila, perciò all’elettrocalamita del ricevitore giunge corrente.
Il telegrafo, acquistato nel 1856, è firmato sopra il sistema scrivente del ricevitore.
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Questo tipo di telegrafo, che utilizzava il codice Morse nel quale alle lettere dell’alfabeto corrispondono insiemi di punti e linee, fu ideato dall’americano Samuel Morse (1791–1872), che lo mostrò pubblicamente nel 1837. Nello stesso anno anche l’inglese Charles Wheatstone (1802–1875) brevettò il suo telegrafo elettrico che, a differenza di quello di Morse, si basava sulla deviazione subita da una serie di aghi. L’impulso all’invenzione del telegrafo si ebbe grazie allo sviluppo della rete ferroviaria, che, proprio a partire dal 1830, si arricchì di migliaia di chilometri di ferrovie e di conseguenza di linee telegrafiche, che collegavano gli uffici telegrafici situati in ogni stazione.
Riferimenti LPSAS, CCLXXXV, Inventario 1888, n. 408.
Ottone, vetro, rame, metallo smaltato, legno
200 x 130: h. 200
Longoni – Dell’Aqua (sic) Tecnomasio - Milano
3/4 XIX secolo
Si tratta di un modello dimostrativo della possibilità, mediante l’impiego di un’elettrocalamita, di trasformare l’energia elettrica fornita da una pila in energia meccanica, aspirando con una pompa l’acqua contenuta in una vaschetta posta sulla base dello strumento.
Sulla base rettangolare in legno lucido sono montati un’elettrocalamita, una colonna in ottone che sorregge l’asse di una ruota verticale, il corpo di tromba in vetro della pompa che comunica attraverso un condotto nascosto con una vaschetta circolare che raccoglie l’acqua. L’elettrocalamita à formata da una bobina di filo conduttore isolato avvolto su un rocchetto nel cui interno vi è un cilindro di ferro dolce; i capi dell’avvolgimento sono collegati a due serrafili posti sulla base in legno. Le estremità del traferro si affacciano ad una staffa mobile, collegata mediante un’asta e una piccola biella alla ruota verticale. All’asse della ruota è fissato un perno ellittico che entra in contatto, ad ogni mezzo giro della ruota, con una lamina per aprire e chiudere il circuito; all’estremità dell’asse vi è una ruota dentata con un eccentrico al quale è imperniato il pistone della pompa. Quando ai morsetti arriva la corrente, l’elettrocalamita attira la staffa che trasmette il movimento alla ruota; lo stantuffo della pompa si solleva, aspirando l’acqua dalla vaschetta, ma l’interruttore a tasto apre il circuito, così la staffa, non più attratta dalla calamita, ricade e costringe lo stantuffo della pompa ad abbassarsi, spingendo l’acqua ad uscire dal beccuccio. Di nuovo l’interruttore chiude il circuito e tutto ricomincia.
L’oggetto è stato fornito dal Tecnomasio di Milano nel 1868.
Riferimenti LPSAS, CCLXXXV, Catalogo metodico, p.128, n.14.
Legno, metallo
320 x 130; h. 250
Siemens & Halske
1/2 XX secolo
I due apparecchi telefonici sono contenuti ciascuno in una cassetta di legno. Nel coperchio è alloggiato il microfono-ricevitore dotato di impugnatura, mentre la scatola contiene il campanello elettrico e la dinamo azionata da una manovella posta sul lato della cassetta, per dare corrente al circuito locale. Nella parte superiore della scatola un setto di legno alloggia i morsetti per i collegamenti elettrici che consentono di commutare l’apparecchio, che normalmente può ricevere chiamate segnalate dal campanello, a trasmettitore a sua volta di chiamata.
Sede:
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